PROLOGO: Città-Stato dello Zilnawa, Sud Africa
L’uomo in piedi alla testa del tavolo al centro della sala riunioni si chiamava Alexander Thran, ed era il fondatore e padrone dello Zilnawa, la piccola nazione più avanzata tecnologicamente al mondo.
E, dopo mesi di attesa, aveva preso una decisione.
“Avevo fondato questa impresa e questa nazione per aiutare i paesi più bisognosi verso uno sviluppo sostenibile, saltando a pie’ pari la dipendenza dai combustibili fossili e dal nucleare a fissione. Purtroppo, tale programma ha incontrato un ostacolo imprevisto. Il suo nome è lo Stato.
“Come sapete, si tratta di una organizzazione parapolitica il cui scopo è lo sfruttamento delle risorse di Africa, Australia, Sud America e Antartide per dare il massimo potere ai suoi affiliati in Nord America ed Eurasia. Quando si sentiranno abbastanza sicuri, daranno via alla cosiddetta “Operazione Armageddon”. Il loro operato, fino ad ora dietro le quinte della politica mondiale, diventerà attivo a tutti gli effetti, e causeranno la terza guerra mondiale. Dalle ceneri, emergeranno trionfanti, guideranno la ricostruzione e diventeranno i padroni del mondo e del suo futuro.
“Un simile piano prevede delle infrastrutture molto solide. Ironicamente, alcune di tali strutture sono proprio qui, in Africa. Lo Stato sa bene che le nazioni industrializzate sarebbero il primo bersaglio, e che il solo modo per guidare la ricostruzione, sarebbe nei luoghi meno deputati ad un attacco diretto.
“Distruggere queste infrastrutture, in tutti i continenti dove siano presenti, significherà infliggere un colpo mortale a tutti i piani dello Stato. Naturalmente, prima di parlare con voi, ho organizzato dei contatti con altre forze capaci di gestire in modo autonomo questa situazione nel più breve tempo possibile. Sperando, nel frattempo, che alcune delle situazioni più ‘calde’ in questo continente si evolvano in modo favorevole alla politica dello Zilnawa.
“Ciò detto, signori, il vostro primo obiettivo,” dietro all’uomo di razza mista sino-caucasica apparve un’ampia mappa olografica mostrante una mappa del Sudan. Uno zoom, e la mappa si focalizzò su un’area tristemente famosa… “è la regione del Darfur, centro focale di una catastrofe umanitaria inserita in una guerra civile che conta ormai quaranta anni.
“Lo Zilnawa, in seguito all’accordo stipulato con l’ONU[i], porterà soccorsi umanitari alimentari e supporti ad alta tecnologia ai campi profughi. Voi localizzerete la base Armageddon e la distruggerete. Buon lavoro, signori.” Si voltò e lasciò la stanza, con tutta la compostezza di un alto ufficiale.
MARVELIT presenta
I CAMPIONI
Episodio 27 - Ritorno al fronte
Di Valerio Pastore
Si lasciò dietro nell’ordine: Victor Asabi Stone, Comandante Generale delle FSDN[ii] dello Zilnawa, Simone Giapeto, Comandante delle Operazioni, e la punta di diamante delle FSDN, i Campioni, composti da:
Ø Capitan Ultra (Griffin Gogol), l’eroe potenziato dall’energia-Ultra
Ø Equinox (Terrance Sorenson), l’Uomo Termodinamico
Ø Hrimhari, il principe dei lupi di Asgard
Ø Psychlone (Dave Martin), telepate e telecineta.
Ø Sundown (David Patrick Lowell), l’Uomo dai poteri fotonici.
Ø Spirale (Eleanor Rigby). Non l’originale, ma un clone della migliore guerriera al servizio di Mojo.
Ø Robert Takiguchi, il pilota del super-robot delle FSDN, il Gaiking.
“Tutto qui?” fece Ultra. “Neanche un ‘berntornati, ragazzi’?”
Stone, la metà sinistra del volto coperta dalle cicatrici delle terribili ustioni causate dalla distruzione dello StarGlider-1000, si alzò in piedi e si mise il berretto, imitato subito da Giapeto. L’uomo afroamericano disse, “Thran pensa che le emozioni siano per i deboli. Giapeto, partenza alle zero quattro zero zero di domani. E voi, cercate di rilassarvi: avremo fin troppo da fare nelle prossime settimane.”
Appena i due comandanti furono usciti, Cap guardò il display alla parete segnare le 20:00 in quel momento. “Domani all’alba. Lo odio. Però…” si voltò verso Terrance, che finita la riunione era tornato alla forma depotenziata, e lo strinse in un vigoroso abbraccio! “Sono felice che abbiate deciso di restare, soprattuto tu zucca di fuoco!”
Terrance quasi ci restò secco, ma riuscì a rantolare un “Figurati...” E quando si ritrovò a respirare liberamente, disse, “La verità è che fuori dallo Zilnawa, mi avrebbero portato via Janet in un modo o nell’altro. Non è che qui non ci siano rischi, ma almeno può contare sul nostro aiuto.” Sospirò. “Spero solo di non dovere fare questo lavoro a vita.”
Ultra gli diede una pacca sulla spalla. “Ehi, non è mica schiavismo, e facciamo delle cose importanti. Mica possiamo solo pensare a raggranellare soldi e scappare! E poi, in questi mesi di pace me la sono spassata un casino!”
“A proposito, come va con i tuoi genitori?”
L’allegria si dissolse come neve al sole dal volto del supereroe. Terrance desiderò di rimangiarsi quello che aveva detto insieme a tutta la lingua. “Scusami, non sapevo che fossero…”
“Non sono morti. È che… Mio padre è una persona difficile, ecco. Abbiamo speso sei giorni a litigare sul fatto che gli ebrei in Israele ridisegnano a piacere i confini con i loro insediamenti. Io penso che sia una porcata, papà pensa che ci vadano anche troppo piano. Lui è il tipo che vede ogni musulmano come nemico di dio, non sa cosa sia la diplomazia… E non riesco a fargli capire che questo atteggiamento intransigente non fa onore alla sofferenza che abbiamo subito come popolo proprio a causa dell’intransigenza. Non meritiamo di finire nelle pagine di storia come il popolo pronto a comportarsi come i propri aguzzini.” Sorrise, e gli scappò una risatina amara. “E come al solito, io sono volato via; ma la considero una prova di maturità: dopo sei giorni di propaganda, lo avrei infilato nel muro. Adesso, resta solo da sperare che Israele non usi le armi nucleari contro l’Iran…”
Terrance fece un fischio. “Scusa, ma riesci a vivere la tua sfera privata senza coinvolgere la politica, qualche volta?”
Ultra si irrigidì. “Mia madre aveva parlato proprio così a mio padre, innescando il litigio dei sei giorni.”
“Sto zitto!”
“E Janet, invece? Ne so qualcosa, di traumi…”
“Ha rimosso tutto senza problemi. Sì, ci sono stati gli incubi e le paure…e una volta ha demolito l’appartamento dove ci trovavamo, ma alla fine l’ha superata bene. In questo, i bambini sono davvero speciali.” Mentre parlava, tuttavia, l’eroe di colore era tutt’altro che contento. Terrance si guardò le mani, così apparentemente normali. “Certo, so esattamente cosa aspettarmi, dopo una vita fra traumi ed abusi, quindi so che prima o poi anche Janet dovrà fare i conti con questa infanzia tormentata…
“Ma troverà in te un padre comprensivo. Non stare lì a crucciarti troppo. Tua figlia è fortunata.”
“Non sai quanto sia felice che tu abbia deciso di tornare quaggiù” disse finalmente Dave, dopo un lungo e tenero abbraccio con un lupo umanoide in armatura grande quasi due volte lui, nell’intimità della stanza dell’uomo.
Hrimhari di Asgard, dopo la guarigione dalle ferite sofferte nella battaglia contro Satranius[iii], ora era stabilmente nella sua forma più potente. Un provvedimento necessario, dopo che l’infezione mistica, e non solo quella fisica, aveva minacciato di annientarlo nel corpo e nello spirito. Aveva ora l’aspetto di chi potesse fare a pezzi a morsi Ultron in persona, ma con Dave sembrava solo un grosso cucciolo disperatamente bisogno del contatto con il suo umano. “Non potevo non seguirti. Se non fosse stato per te, non sarei riuscito a vincere il veleno infuocato di quel drago, sarei rimasto un guscio vuoto.[iv]”
Dave, il volto diviso a metà fra il suo colore naturale e una tinta nera a riflessi blu, accarezzò la gola del suo lupo. “Non è solo una questione di onore, vero? Per quanto ti ami, non ti farei sentire costretto…”
“Quando sei entrato in contatto con il mio spirito, per darmi forza, fra di noi c’è stata una comunione, Dave Martin di Midgard. Siamo stati uniti in un modo che non ha eguali. Ed è stato meraviglioso. Nessun altro, lupo o umano, dio o mortale, potrebbe darmi tanta gioia.
“Una volta lasciai andare una femmina che pensavo mi avrebbe fatto felice, la splendida Rahne, ma mi rendo conto che non era che una infatuazione di fronte al mio sentimento per te…” sorrise. Chi non lo conosceva sarebbe rimasto alquanto inquietato da quel bagliore di zanne. “Lo ammetto, non sei bello come un lupo, ma è cosa di poco conto. C’è però una cosa che debbo sapere.”
Dave annuì.
“Sarai disposto a seguirmi su Asgard quando smetteremo di essere Campioni?”
“Non chiederei di meglio. Non sono bastati i messi di Hela a fermarmi, non credere che basterà un varco extradimensionale a separarmi da te, bestiaccia!”
Un atto di volontà, e David Lowell fece sparire il costume, rimanendo subito dopo in camice da laboratorio. Lo scienziato fece correre lo sguardo sulla serra in cui aveva trasformato il proprio appartamento.
“Mi mancherete, ragazze,” disse. Dio, quanto bel lavoro aveva fatto negli ultimi mesi! A parte quella breve interruzione causata dall’Uomo Pianta[v] (ma perché uno non doveva cambiarsi nome, se poteva?), era riuscito a concepire un nuovo tipo di organismo capace di crescere nel deserto di Marte. Quando era giovane, avrebbe subito perseguitato il comitato del premio Nobel, ma ora era diverso: c’era gente che dipendeva dal suo operato di supereroe, e una cerimonia di premiazione contava ben poco di fronte ad un futuro con un pianeta tornato a nuova vita grazie anche ai suoi sforzi. Nella sua mente, David vedeva una meravigliosa pianura verdeggiante della sua Lowellia Martis…
Subito lo scienziato si diede uno schiaffo mentale. “Ora di tornare sulla Terra, vecchio mio. Ci sono tante cose da fare.” Come, per esempio, trovare un modo per incrementare l’apporto minerale e calorico di un frutto senza impoverire il terreno. Occorreva fare sì che i piccoli agricoltori nel terzo mondo potessero nutrirsi anche da raccolti magri…
David spostò lo sguardo verso una delle foto-ricordo delle diverse formazioni dei Campioni. L’ultima mostrava un membro recentemente scomparso: Ember.
Almeno, a lui era andata bene… Cioè, meno peggio di quanto ci si potesse aspettare. Satranius lo aveva letteralmente incenerito, ma solo perché le entità contenute nel Trittico, l’amuleto che dava ad Ember il suo potere, lo avevano permesso. Per dare una punizione a colui il cui scopo doveva essere la difesa della etnia Dudak e null’altro.
Il lutto per Ember era durato un paio di settimane, prima che fosse lui stesso a mettersi in contatto…dalla Slorenia. La nazione era stata miracolosamente ricostruita dal potere di Scarlet[vi], dopo la catastrofe portata da Ultron, e i Dudak sparsi per il mondo stavano tornando alla terra dei loro avi. Ed Ember non poteva lasciarli.
Dopo quella chiamata, David aveva pensato seriamente a rimettersi in contatto con la sua ex moglie. Per quanto fosse potente, non era immortale. Era felice di fare il suo lavoro, ne aveva fatto la sua ragione di vita… Ma ora…
Come David, anche Spirale abbandonò la sua identità di guerriera a favore di quella umana.
Di una donna che non era.
La beffa di Mojo era stata davvero sopraffina: darle tutti i ricordi di Rita Ricochet, in modo da potere ingannare qualunque telepate, ma darle anche la consapevolezza di non essere Rita Ricochet, che tutto quello che provava era una totale falsità…
E poi gli altri si chiedevano perché lei fosse fuggita! Rivedere Longshot, alla fine, non era servito a un granché, se non a tenere aperte le ferite.
Rita si spogliò e si infilò sotto la doccia. Digitò un pulsante, e fu avvolta da getti d’acqua da più direzioni. L’acqua sul suo volto nascose le sue lacrime. Non era giusto, dannazione! Cristo, persino un ex-schizofrenico come Dave aveva trovato un compagno, anche se non umano, e lei, che aveva parenti e amici non poteva…
“NO!” un braccio metallico colpì la parete piastrellata, crepandola. I getti d’acqua si interruppero di colpo, mentre la voce femminile del computer annunciava l’imminente avvio della procedura di riparazione, invitando l’occupante della cabina a lasciarla.
Spirale uscì dalla doccia, grondante, gelida in volta ma ancora furiosa. Sono fuggita non solo da Mojo, ma dalla vita di Rita Ricochet. Mi chiamo Eleanor Rigby, e nessun maledetto fantasma di ricordi mi impedirà di ricominciare!
Sì, cominciava a capire cosa avesse provato Dave Martin, prima di guarire…
Improvvisamente, avvertì una sensazione! Clone o no, Spirale era ferrata nell’uso delle energie mistiche. Sapeva esattamente quando il mana veniva manipolato nelle sue prossimità.
E in quel momento, qualcuno stava compiendo un incantesimo davvero potente! Lei non sapeva identificarne la posizione, ma ne percepiva gli effetti. Voltandosi, vide infatti che le gocce di acqua nella cabina della doccia si erano fermate a mezz’aria, e quelle sulla parete avevano smesso di colare.
Non era solo il tempo. La realtà stessa si trovava come in uno stato di…sospensione, come in attesa di riconformarsi…
Ma perché lei ne era immune? Ovviamente non era, non poteva essere all’altezza dell’entità dietro a questo fenomeno, ed era stata anche colta di sorpresa…
Il suo potere di dislocazione spaziotemporale! Perché non ci aveva pensato prima? Era per quel potere mutante che Mojo aveva rapito, potere che si era assicurato passasse al clone. Doveva averlo attivato istintivamente, percependo l’alterazione spaziotemporale a livello inconscio, isolandosi in una ‘bolla’ separata da quello stato.
Spirale sorrise. Bene, furbetto del quartiere! Ora ti farò vedere cosa sa fare la suprema guerriera del Mojoworld… Si preparò ad usare la sua magia per individuare la fonte di quel problema, quando la voce le parlò. <Ferma!>
Spirale si guardò intorno. “Dove sei? Chi sei?”
<Non sono un nemico. E sono ovunque, su troppi livelli di realtà perché tu possa percepirmi nella mia interezza con i tuoi sensi limitati.>
“Se pensi che questa limitazione mi renda meno pericolosa… E perché dovrei fidarmi della tua parola?”
<Non ho il tempo per spiegartelo. Fra poco, non esisterò più, non come mi percepisci. Ma se un solo gesto può valere mille parole, Eleanor Rigby, permettimi di aiutarti almeno questa unica volta.>
Lei non avvertì alcun cambiamento in particolare. “Cosa hai fatto?”
<Rita Ricochet non esiste più.>
“Cosa?!”
<Quando assumerai il manto di Eleanor Rigby, sarai a tutti gli effetti un’altra persona, e invisibile a Mojo. La tua stessa esistenza come clone è stata cancellata nel Mojoworld. Non ce ne saranno altri, perché ogni traccia del tuo materiale genetico è stata eliminata. Di più non potevo fare. Vivi libera, Eleanor Rigby.>
Un batter d’occhio dopo, le gocce di acqua tornarono a cadere.
Ancora un secondo dopo, suonò l’interfono.
“Cosa c’è, ora?!” ringhiò lei, con il tono di chi fosse pronto ad uccidere se non fossero state meno che buone notizie.
In un certo senso, lo erano.
In pochi minuti, furono tutti in sala riunioni. Erano sinceramente entusiasti, almeno quanto lo era Capitan America dei potenti Vendicatori.
“Parlando a nome del gruppo, e senza tema di smentita,” disse Ultra, con un sorriso che avrebbe illuminato un palcoscenico, “complimenti, ragazzi! Wanda meritava davvero questa benedizione[vii]!”
Cap annuì. “Credo che sia il bambino più famoso nella comunità dei supereroi. Stiamo ricevendo così tanti auguri e complimenti che dovremo darci il turno per rispondere a tutti. Jarvis è felice come un nonno.”
“Manderemo un regalo come si deve alla madre,” disse Ultra. “E verremo anche a visitarla, appena avremo un momento libero.”
“Ci contiamo. Capitano, vorrei esprimere anche a nome degli altri un ringraziamento particolare per il vostro impegno in Africa.”
“Dovere nostro, Capitano. Ci vediamo, e di nuovo congratulazioni.”
Quando lo schermo si fu spento, Hrimhari disse, “Fra la mia gente, in queste occasioni è uso portare doni di cibo appena ucciso alla madre. Potremmo portare loro il cadavere di un nemico.”
Tutti assunsero un’aria nauseata, a parte Spirale che mostrò un sorriso da piranha. “Preparerò piuttosto delle specialità ebraiche,” disse Capitan Ultra. “Me la cavo bene, ai fornelli.”
“Magari a Scarlet piacciono le piante,” rifletté ad alta voce Sundown. “Ne ho giusto creato una specie capace di influenzare marcatamente la produzione di endorfine…”
L’unico muso lungo, ora che lo schermo era spento, era quello di Robert. Il giovane pilota si allontanò discretamente, seguito da un chiacchiericcio eccitato…
Le porte scorrevoli si aprirono, e il ragazzo entrò nell’hangar. Nel vecchio StarGlider, sarebbe stato salutato dalla vista del potente Mazinkaiser. Qui, nel cuore del Drago Spaziale, si trovò ad osservare i moduli delle braccia e delle gambe del Gaiking.
Il nuovo super-robot non era lontanamente potente quanto il suo predecessore, ma del resto, era il Drago la vera arma vincente, una superfortezza capace di viaggiare in modalità warp nel sistema solare, attrezzata in modo molto più aggressivo dello StarGlider. Gaiking era solo…un mezzo di appoggio, un componente.
Ma non importava, non più di tanto. Alla fine, era quello che Robert voleva.
Lo psichiatra della base gli aveva spiegato che quella infatuazione prima per Godzilla[viii], poi per i super-robot, era dovuta innanzitutto al desiderio di controllare la propria vita. Suo padre, per ragioni di lavoro, era molto assente dalla sua vita, e quando c’era era per portarselo dietro verso un altro luogo di lavoro. Robert poteva essere visto come un ragazzo fortunato dal punto di vista materiale, ma dal punto di vista affettivo aveva un disperato bisogno di un ‘fratello maggiore’ grande e grosso che venisse ad aiutarlo ogni volta che ne avesse bisogno. E Godzilla non era quel tipo di fratello. Ma prima Red Ronin, poi Mazinkaiser…
Il cuore di Robert Takiguchi si serrò dolorosamente al ricordo di Satranius che strappava via la testa del robot con la massima facilità. In quel momento, Mazinkaiser non era stato distrutto, ma ucciso. “A te non succedera, Gaiking,” disse Robert ai moduli, poi spostando lo sguardo verso l’estremità della rampa di lancio, dove stava il terzo modulo, la testa del Drago Spaziale. “Non lo permetterò, nisa[ix]!”.
“Kristen.”
La splendida donna che faceva da segretaria ed assistente particolare di Alexander Thran sollevò un sopracciglio. “Signore?”
“Confido che il programma di missioni dell’ONU sia stato adeguatamente modificato.”
La donna batté sullo schermo del notepad le unghie, in realtà coperte da una rete di circuiti elettronici, altra invenzione marca Talon Corporation, e lo schermo rispose con una serie di dati. La donna, come sempre impassibile, annuì. “Affermativo: tutte le missioni di soccorso in territorio africano in prossimità delle basi Armageddon sono state assegnate allo Zilnawa.”
“Ottimo. E per quanto concerne il controllo del tecnovirus Ultronia Pestis?”
Altra serie di digitazioni. “Il programma è giunto alla fase tre.”
Thran sorrise. Quell’attacco era stata una benedizione, a suo modo, e i mesi di inattività avevano permesso uno sviluppo adeguato del virus secondo le specifiche del padrone della Talon: ora disponeva di un’arma biotecnologia come mai si era vista!
Thran non provò vergogna, nessun rimorso: il Progetto Exodus doveva essere difeso ad ogni costo. Sarebbe passato su molti cadaveri, come già aveva fatto. Adesso, bisognava solo assicurarsi di catturare un altro membro di alto rango dello Stato…
“Signor Thran?”
“Sì, Kristen?”
La donna
stava contemplando lo schermo con aria interessata. “I profughi, signore. Sono
arrivati adesso. Settore FF-
Ora sì che Thran era contento. “Eccellente!” Si alzò in piedi. “Organizzi un degno ristoro per i nostri nuovi cittadini, ne avranno bisogno. Andrò a dare loro il benvenuto personalmente.”
Hangar sotterraneo del Drago Spaziale, ore 04:00
Simone Giapeto si accomodò sulla poltrona del comandante. “Datemi un go-no go mano a mano che vi chiamo. Pilota?”
Hugh Howards disse, “Go, Comandante.”
“Armamenti?”
“Go,” rispose Takeshi Mori.
“Sensori?”
“Go,” rispose Milena Grossmonde.
“Propulsori?”
“È go, signore,” rispose Moriz Serchenko.
“Sistemi informatici e cibernetici?”
“Go,” rispose Ernst Ford.
“Comunicazioni?”
Alan Parker sollevò un pollice. “Go, Comandante.”
“Settore tattico?”
Xi Han annuì. “Go, Signore.”
Soddisfatto, Giapeto attivò un pulsante che lo mise in comunicazione con il settore biologia. “Dottori Lawson e Hawkins, è tutto a posto, lì?”
“Eccome, signore…” Gladstone Hawkins si strozzò nel correggersi immediatamente. “Ah, volevo dire…”
“Il reparto è operativo e pronto al proprio dovere,” intervenne la voce di Jerome Lawson.
Giapeto sorrise. “Non vi preoccupate. Capita a tutti, la prima volta. Chiudo.” Poi, rivolgendosi al pilota, “Avviare procedura di lancio Drago Spaziale.”
Le sirene di allarme suonarono.
Tubi cristallini e metallici snodati si ritirarono dal corpo della colossale bestia meccanica azzurra dalla cresta cremisi. Il personale corse ai veicoli.
Gli occhi del Drago Spaziale si illuminarono. La bestia sollevò la testa dorata e spalancò la bocca in un potente ruggito!
Poi, lentamente, la fortezza si immerse.
“Motori a un quarto,” disse Giapeto, appena il Drago Spaziale fu completamente immerso.
Hugh spinse la cloche in avanti. “Motori a un quarto.”
Il Drago avanzò lentamente lungo il tunnel sotterraneo, il percorso illuminato da frecce luminose che correvano lungo la pavimentazione.
Al suo interno, ogni Campione si preparava alla missione a modo proprio.
Capitan Ultra, chino su un ginocchio, lo sguardo rivolto al pavimento e le mani giunte, pregava in yiddish.
Terrance stringeva in grembo sua figlia, mentre fissavano lo schermo che mostrava l’avvicinarsi dell’uscita della rampa sottomarina.
Hrimhari strinse le mani di Psychlone nelle proprie, scambiandosi l’un l’altro una muta promessa.
Spirale, a mezz’aria nella posizione del loto, meditava.
Sundown camminava avanti e indietro come se ci dovesse essere un parto alla fine di quella partenza.
Robert aspettava accanto alla postazione di lancio del Gaiking.
“Siamo fuori dalla rampa di lancio!” disse Hugh.
Giapeto annuì. “Potenza al settanta per cento. Drago Spaziale, decollo!”
“Potenza al settanta per cento. Drago Spaziale, decollo!” Hugh tirò la cloche.
Dapprima apparvero le file di luci, poi la colossale sagoma si fece sempre più distinta…
E infine, con un secondo e potente ruggito, il Drago Spaziale esplose dall’acqua come una nuova divinità! Il sole creò un arcobaleno intorno al colossale spruzzo d’acqua, mentre il metallo cromato brillava di innumerevoli e abbaglianti riflessi nel cielo terso. I passeggeri delle imbarcazioni che ebbero la fortuna di assistere allo spettacolo avrebbero avuto parecchio di cui parlare.
Poi, il Drago Spaziale volò rapidamente verso l’orizzonte, verso la sua prima missione…